mercoledì 13 ottobre 2010

Fardelli d'Italia. Quando il calcio è guerra fredda.


Baruffe e tafferugli a Marassi: rinviata Italia-Serbia, sfida valevole per le qualificazioni a Euro 2012.

Questa sarebbe dovuta essere la notte di Italia-Serbia, in un Ferraris gremito e trepidante, ansioso di riabbracciare dopo esattamente due anni la Nazionale azzurra. È stata invece la notte dell’orrore e dell’efferatezza, a Genova. Protagonisti una ventina di hooligan impattizi, “tifosi” serbi, che ben prima del calcio d’inizio davano pessimo spettacolo di sé mettendo letteralmente a soqquadro l’intero settore ospite: lancio di fumogeni, taglio di reti, sfondamento di parapetti. Venti brutali esemplari a tenere in scacco il gran baraccone calciofilo.

Non c’è stato verso, di fermarli. L’imbarazzo delle stesse forze dell’ordine, o forse la loro impotenza, sono stati lo specchio più fedele dell’inadeguatezza di un sistema le cui falle non possono più essere nascoste. Un sistema per cui sicurezza, decenza, dignità valgono ben meno che la sonante moneta.

La partita s’ha da giocare, diamine. Senza se e senza ma. Cosa direbbero le televisioni? E gli spettatori paganti? E la gente a casa? Cosa le Federazioni? Fortuna che qualche volta, però, interviene la realtà a ripristinare l’ordine. Dopo sette minuti di match-farsa e l’ennesimo fumogeno giunto a destinazione, l’arbitro finalmente si decideva a far calare il sipario sulla nauseante messinscena. Frattanto, gran parte del pubblico sfollava così come qualche calciatore con ancora un briciolo di senno. Ma ai microfoni RAI qualcuno molto in alto non s’era ancora rassegnato.

Antonello Valentini, direttore generale FIGC, assicurava: “l’incontro è stato sospeso, siamo in attesa di comunicazioni ufficiali”. Eh sì, perché rimandare la gara avrebbe significato 3-0 a tavolino Italia e Serbia praticamente a casa. Chi se ne frega se ci scappa il morto? Si scende in campo punto e stop. Niente da fare, il direttore di gara non se la sente, e come lui Viviano: “io lì non ci vado”. Tutto a carte quarant’otto, come buonsenso avrebbe prescritto.

Una mezza vittoria, quindi, eppure molti interrogativi restano tuttora insoluti: chi ha permesso che quei loschi figuri entrassero allo stadio? Perché non si è riusciti ad isolarli? Com’è possibile che uno schieramento al completo di forze dell’ordine si renda ostaggio di un esiguo manipolo di facinorosi?
Domande ostiche, magari, cui difficilmente riceveremo risposta. La verità è che oramai il calcio rappresenta la più nitida cartina di tornasole della società odierna, la perfetta vetrina attraverso cui
dar sfogo a frustrazioni e desideri di vendetta inespressi. Perché Italia-Serbia era anche questo: la rivendicazione da parte di un popolo di un territorio, il Kosovo, la cui minoranza albanese era stata a suo tempo difesa dal nostro contingente, il rifiuto di far parte dell’Europa, la volontà di conservare autonomia.

Questa sarebbe dovuta essere la notte di Italia-Serbia. È stata invece la notte dell’orrore e dell’efferatezza, a Genova. Ancora una volta, ha trionfato la guerra.

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