giovedì 31 luglio 2008

Ridatemi le ali


Ormai è da un po' che sono di nuovo a Napoli e, passata l'iniziale euforia, appagato il mio desiderio di rivedere gli amici più cari, di riassaporare dopo così tanto la mia città, mi è presa negli ultimi giorni una malinconia inusitata, un'amara nostalgia delle cose lasciate, e ho ripensato a te, dolce Siviglia, a te che mi hai accolto con l'entusiasmo di una balia solerte, che mi hai abbagliato con la luce delle tue assolate giornate, che mi hai invitato alla tua lauta mensa, che mi hai ospitato per nove lunghi mesi, i più importanti e forse i più belli che abbia mai trascorso fino ad ora, mostrandoti in tutta la tua abbacinante bellezza. Non riesco ad abituarmi all'idea di esserti lontano, ora; e pensare che, poco prima di partire, Napoli mi mancava più dell'aria; ero stanco di te, della tua inerzia quasi esasperata, come se per te il tempo non esistesse, come se anzi lì da te si vivesse in una pacifica e sorniona obliterazione del mondo che pur esiste al di là dei tuoi confini. Eppure avevo una cosa allora che mi è stata strappata via non appena i miei piedi hanno ripreso a rilasciare impronte sul suolo partenopeo: la libertà, un bene di cui ci si rende conto soltanto quando se ne viene privati, e che è senza dubbio ciò che di più prezioso ci sia stato concesso. E' dunque di gran lunga preferibile vivere per sempre in una gabbia dorata, completamente ignari di quel che c'è fuori, piuttosto che spiccare il volo una volta per poi mestamente ritornarci.