martedì 11 maggio 2010

" ...'o cazzo p''a bbanca 'e ll'acqua!"


È la variopinta, cruda espressione di stampo partenopeo per sottolineare un errore madornale, definire un abbaglio, evidenziare un fraintendimento. In italiano "ripulito" potrebbe suonare pressappoco come "prendere un granchio". La sostanza, però, non cambia, perché una svista tale resta e una papera non può certo trasformarsi in cignessa. E il fraintendimento, l'enorme equivoco, l'ennesima gabellata da tracannare, stavolta, è quella relativa all'acqua, o meglio, alla sua distribuzione. In Italia si tratta da quasi un anno di un servizio privatizzato, in mano ad un centinaio di gestori che si spartiscono, e si spartiranno, una torta di circa 8 miliardi di euro da qui ai prossimi diec'anni, un colossale business speculativo perpetrato in barba al più ovvio, lapalissiano caposaldo democratico: un bene collettivo, derivante da Madre Natura, in quanto appartenente alla comunità, non deve né può essere venduto, mercificato. Eppure, guarda un po', ce l'hanno data a bere, pare, ancora una volta. E ancora una volta a risuonare fragorosa è l'eco terrificante di un silenzio-assenso da parte delle istituzioni e della maggior parte dei media di Stato che com'è ovvio ben si guardano dal dissociarsi o anche solo pronunciarsi sul merito perché, si sa, con una torta così imponente un pezzettino ci sta per tutti. Eppure, nell'arsura di uno squallido deserto, una brezza nuova sembra cominciare a spirare, ed è quella fresca, rilassante, di una cittadinanza stanca di continue vessazioni, una cittadinanza attiva, propositiva, impegnata sul territorio, una cittadinanza libera, industriosa, desiderosa di giustizia. Il referendum è l'ultima, seppur spuntata arma che possediamo per far saltare il banco e invertire la pericolosa rotta. Chi pensa di poterci sottrarre financo questa, be', ha preso, come si dice, "lucciole per lanterne", o meglio, per restare in tema, "fischi per fiaschi", oppure, passi il turpiloquio, " 'o cazzo p''a bbanca 'e ll'acqua...".

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